Numero 072 — Gusto 15/07/2024

Con questo, gli ultimi tre numeri formano una specie di trittico su competenze non tecniche legate al design. Nel primo abbiamo parlato dello sguardo, nel secondo della copia, in questo parliamo del gusto, competenza sempre più necessaria.


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Gusto

Pensiamo che il gusto sia una questione personale e soggettiva. E che in qualche modo emerga in maniera spontanea. Come scrive Paul Graham, in un articolo sul suo sito, lo pensiamo anche perché fin da piccoli siamo spinti a fare le cose “a modo nostro”, e che sia giusto così, anche quando non lo è. Continua Graham, i primi dubbi arrivano quando a un certo punto ci dicono che Leonardo, Caravaggio, Michelangelo, o chi per loro, sono dei grandi artisti. Che in pratica il loro lavoro è di gran lunga migliore di quello di altre persone. Insomma, anche se facciamo le cose “a modo nostro”, non siamo considerati altrettanto bravi.

Quando poi cominciamo a lavorare nel mondo del design scopriamo che il gusto non è solo una questione personale. Se fosse così, sarebbe già tutto perfetto: ti piace quello che ti piace, e basta. Invece il più delle volte si lavora con aziende con un loro stile specifico, che operano in un mercato con una sua estetica specifica, per un pubblico che ha preferenze diverse dalle nostre.

In uno dei miei primi lavori, mi è capitato di progettare una carta punti per una catena di supermercati. Sembrava qualcosa a metà tra una carta di credito di Apple e la carta della Rinascente, non proprio adatto al pubblico di un supermercato.

Il gusto, come lo sguardo di cui abbiamo parlato qualche numero fa, è un’altra di quelle competenze necessarie per lavorare come designer (e non solo). Conoscere gli strumenti (i software), i materiali (font, immagini, colori), le fasi (ricerca, wireframe, prototipo), i metodi di produzione (design system), non basta. Bisogna essere in grado di capire e di sapere cosa fare e come farlo. Con l’avvento delle varie intelligenze artificiali, l’esecuzione potrebbe diventare secondaria, ma il cosa fare sarà una competenza cruciale. Avere gusto, a questo punto sembra chiaro, sarà ancora più fondamentale.

Il design non è solo una questione estetica, è anche una questione strategica. Avere gusto può essere utile per prendere decisioni, sia piccole che grandi, che si allineano a una visione centrale e soddisfano sia le esigenze degli utenti che gli obiettivi aziendali1.

Scrive Elisabeth Goodspeed su It’s nice that2:

⁠⁠Il gusto è ciò che permette ai designer di navigare nel vasto mare di possibilità che la tecnologia e la connettività globale offrono, e poi di selezionare e combinare questi elementi in modi che, idealmente, risultino in lavori interessanti e unici.

Il gusto è anche utile a capire quanto un lavoro di design sia fatto bene e perché funziona, soprattutto se lo usiamo per definire la qualità di un oggetto, qualcosa che possiamo misurare e confrontare. Il gusto è legato a chi guarda, la qualità è legata all’oggetto (fisico o digitale che sia). Per capire se qualcosa è fatta bene dobbiamo analizzare diversi aspetti: se i materiali utilizzati erano quelli giusti allo scopo; se è comodo, usabile e accessibile per le persone che lo utilizzeranno, se palette colori, scelte estetiche, gerarchie visive e metafore sono stati utilizzati in maniera efficace3.

Il gusto non è statico; evolve con l’esperienza, l’esposizione a nuove idee e l’auto-riflessione. Mentre i nostri gusti possono iniziare con influenze personali e culturali, diventano più raffinati attraverso l’apprendimento e la pratica. Ad esempio, di solito gli studenti alle prime armi preferiscono font molto vistosi. Lo fanno per varie ragioni, la principale è perché non sono in grado di gestire un layout, anche semplice, e provano a distrarti con font inutilmente stravaganti. Di lì a poco si affidano solo ai classici, prima di arrivare poi a scegliere quello giusto allo scopo.

I gusti cambiano con il tempo e, come qualsiasi altra competenza, devono essere coltivati. Si dice che siamo ciò che mangiamo, ma anche ciò che vediamo e che leggiamo. Siamo anche chi frequentiamo, qualcuno4 ha scritto: siamo la media delle cinque persone con cui trascorriamo la maggior parte del tempo.

Scrive Cennydd Bowles:

Un designer esperto non perde tempo con soluzioni chiaramente inefficaci: design tipograficamente poveri, scelte di colore sbagliate o metafore d’interazione inutilizzabili. Ne consegue che il gusto si apprende, non è innato. L’esperienza, l’esposizione e la pratica ci forniscono schemi che suggeriscono quali soluzioni potrebbero adattarsi a quali problemi.


  1. Sarah Gibbons, Kate Moran, Design Taste vs. Technical Skills in the Era of AI, NN/g ↩︎

  2. L’abbiamo citata anche nel numero #069 sul Design e le IA ↩︎

  3. Taste, DOC ↩︎

  4. La frase di Jim Rohn è riportato in questo articolo di The Next Web You are what you eat: How to improve your product and design taste ↩︎


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Gnarly è un carattere tipografico della fonderia Formerly Known, con sede a Los Angeles.

Prende ispirazione dai grotesque del 19° secolo, aggiungendo terminali estesi e ink-trap vistose.

Può funzionare sia per i titoli che per il testo lungo, mantenendo una larghezza di avanzamento costante (uniwidth) che garantisce coerenza nella lunghezza delle righe e nel flusso del testo.

Gnarly è disponibile in 5 pesi, con relativo corsivo.